
Ad aprile le esportazioni giapponesi verso gli Stati Uniti, principale partner commerciale del Paese, sono diminuite di quasi il 2% a causa dell’aumento dei dazi voluto dal presidente Donald Trump. Nel complesso, le esportazioni globali del Giappone sono cresciute solo del 2% rispetto all’anno precedente, rallentando rispetto al 4% di marzo e portando a un disavanzo commerciale di 115,8 miliardi di yen, il primo dopo tre mesi. Le importazioni dagli Stati Uniti sono calate di oltre l’11%, mentre quelle totali sono scese del 2,2%. Il governo giapponese sta chiedendo la rimozione dei dazi, ma finora senza successo. Intanto, le esportazioni verso il Sud-est asiatico risultano in crescita.

Oh, guarda, i giapponesi si sono svegliati con il conto in rosso per la prima volta dopo tre mesi. Sai che novità. Sarà mica che gli americani, quelli che danno lezioni di libero mercato solo quando gli fa comodo, gli hanno piazzato dei dazi da paura? Eh già, perché quando si tratta di proteggere le macchine americane, la concorrenza diventa subito un nemico da schiacciare, mica un’opportunità per migliorare. La mano invisibile del mercato? Più invisibile dei neuroni di chi pensa che con quattro dazi si salva un’industria, ma lasciamo perdere.
Gli esportatori giapponesi che piangono per il calo del 2% verso gli USA, come se fosse uno tsunami economico. E non si capisce se fanno più pena loro o quelli che devono tradurre in yen i loro sogni di gloria, col dollaro che si è sgonfiato come una ruota bucata. Certo, se ti pagano in una valuta che vale meno, l’unica cosa che cresce è la tua frustrazione, mica il PIL. Il vero disavanzo è quello di pazienza che ha la gente nel sentire ‘sto piagnisteo commerciale.
E intanto Trump – sì, proprio lui, quello che fa la guerra commerciale mentre si fa i selfie – si diverte a mettere il 25% di dazio sulle auto giapponesi, ma guai a toccare acciaio e alluminio, che quelli sono sacri. Ma chi volete fregare? La globalizzazione non è altro che un gioco a chi frega meglio l’altro, e i giapponesi, abituati a vendere a chiunque respiri, adesso devono correre dietro agli americani con il cappello in mano a chiedere pietà. Tanto per cambiare, l’unica cosa che i negoziatori giapponesi si portano a casa sono le pive nel sacco. Quando vai a Washington a contrattare tariffe, portati lo scotch e la vaselina: non si sa mai.
E come se non bastasse, il crollo dell’export di auto del 6%. Ma dai, chi l’avrebbe mai detto che mettere dazi sulle auto avrebbe fatto vendere meno auto? Serve una laurea per capirlo, o bastava il cervello di un passante? Intanto però, mentre si frignano addosso, i giapponesi si consolano vendendo qualcosa nel sud-est asiatico, dove ancora non li hanno presi a calci.
E adesso arriva pure il Ministro dell’Economic Revitalization, con un titolo che sembra uscito da una sitcom anni ’80. Questo vola negli USA per il terzo round di negoziati, come se le prime due volte avessero portato a casa qualcos’altro che pacche sulle spalle e porte in faccia. Quando uno si chiama Akazawa e va a trattare con Trump, l’unico miracolo che può sperare è tornare indietro senza perdere pure le mutande.
Ma tanto, come sempre, alla fine chi paga è il solito fesso: lavoratori giapponesi, consumatori americani e quell’esercito di intermediari che speravano di fare soldi senza rischi. E voi che pensavate che l’economia fosse una roba da gente seria.
Sapete quanto vale 115,8 miliardi di yen? Circa 800 milioni di dollari, cioè quanto guadagna una multinazionale in una settimana vendendo snack ai ragazzini. Briciole. Ma per fare i titoloni da crisi nucleare, basta anche meno. “Il deficit commerciale giapponese è grande quanto il buco in testa di chi si beve tutti questi drammi.”
Se proprio volete capire qualcosa di economia, smettete di ascoltare quelli che vi raccontano la favoletta del libero mercato. Guardate chi si mette le mani in tasca davvero quando si parla di dazi: non sono i politici, non sono i CEO, siete voi. “Quando vi dicono che i dazi proteggono il lavoro, controllate che non vi stiano fregando pure le scarpe.”