
Durante un evento a Washington in occasione dell'insediamento presidenziale di Donald Trump, Elon Musk ha suscitato polemiche con gesti interpretati da alcuni come un saluto fascista. Musk, noto imprenditore e sostenitore di Trump, ha ringraziato i partecipanti per il loro supporto, accompagnando le sue parole con movimenti che diversi osservatori hanno paragonato al saluto nazista. Mentre alcuni utenti dei social media hanno espresso indignazione, Musk ha condiviso video dell'evento, minimizzando le critiche. L'Anti-Defamation League ha invitato alla calma, suggerendo che il gesto fosse stato mal interpretato. Tuttavia, il dibattito continua, con diverse figure pubbliche che esprimono opinioni contrastanti sull'accaduto.

[Drammatizzazione ispirata alla notizia]
La Normandia è un ricordo lontano, ma certe cose ti restano dentro. Come l’odore del sangue misto a fango. O l’eco delle urla di chi cadeva accanto a te, cercando di capire se aveva ancora abbastanza corpo per morire dignitosamente. E adesso, eccoci qui. Io, seduto su questa poltrona sfondata che puzza di vecchio, e la televisione accesa davanti a me, che mi vomita addosso l’ultima idiozia del secolo: Elon Musk, in giacca e cravatta, che fa un saluto romano che sembra nazista. No, scusate, rettifico: un gesto fraintendibile. Certo, perché adesso il fascismo è solo un malinteso, giusto?
Lo guardo, questo spettacolo surreale, con la stessa faccia che avevo in Normandia quando un mio compagno ha perso metà testa per una scheggia. Mi viene quasi da ridere, ma non è una risata vera, è quella risata amara che ti si strozza in gola. Musk si batte la mano sul petto, come un attore scadente che cerca l’applauso, e dice: Grazie a voi, il futuro della civiltà è assicurato. Civiltà? Lo dice sul serio? Forse dovrei chiamare Enrico, il cuoco che sognava di aprire un ristorante ma ha lasciato il suo piede su una mina a Omaha Beach, e chiedergli se questa è la civiltà per cui valeva la pena morire.
Ma Enrico non c’è più, e io resto qui, a guardare questo idiota miliardario che gioca con i simboli di un passato che, evidentemente, non gli hanno mai spiegato a scuola. Fa un altro saluto. Più basso stavolta. Oh, ma allora è diverso, no? Meno angolato, meno offensivo. Chissà se quelli che urlavano Heil Hitler negli anni ‘30 sapevano di dover calcolare l’angolo giusto per non essere fraintesi.
Mi viene da alzarmi e tirare una scarpa contro lo schermo, ma poi mi ricordo che ho scucito i miei ultimi 500 dollari per questo televisore del cazzo, quindi resto seduto. Lui continua, parla di città sicure, confini protetti e altre cazzate che ho già sentito da gente con baffetti ridicoli e croci nere sugli stivali. Non è nemmeno originale, il bastardo. E poi, come ciliegina sulla torta, arriva la promessa: Pianteremo la bandiera su Marte. Ma sì, certo, colonizziamo un altro pianeta! Abbiamo fatto un lavoro così splendido con la Terra, no? Sapete cosa vedo io quando parlate di Marte? Lo stesso fottuto caos che ho visto sulle spiagge della Normandia, ma stavolta con un’astronave parcheggiata male sullo sfondo.
Bam! Bam! urla Musk, mimando astronauti che piantano una bandiera immaginaria. Mi si stringe lo stomaco. Non per lui, ma per chi lo applaude. Una folla che ride, urla, e posta selfie con l’hashtag #ElonForever. Ma certo, fate pure! Magari scattatevi una foto con il braccio teso, che fa tanto vintage. Tanto nessuno vi dirà niente, perché non lo intendevate davvero.
Spengo la televisione, finalmente. Non per rabbia, ma perché mi fa male la testa. Mi alzo lentamente, sentendo le ginocchia che scricchiolano come vecchi pezzi di legno. Mi guardo intorno. Su una mensola c’è una foto in bianco e nero: io, giovane e stupido, con la divisa sporca e una sigaretta in bocca. La guardo e penso: Bravo, coglione. Ti sei buttato sotto le pallottole per arrivare a questo. E poi mi metto a ridere, ma stavolta è una risata vera. Sapete perché? Perché alla fine della fiera, Musk, il suo saluto nazista, e tutta questa farsa moderna, non contano un cazzo. Il mondo non è peggiorato. È sempre stato così: stupido, crudele, cinico, opportunista e senza speranza.
Mi avvicino alla finestra, quella da cui guardo il mondo ogni giorno. Le tende ingiallite lasciano passare un filo di luce, abbastanza per illuminare le mie mani che un tempo stringevano un fucile. Ora tremano, senza più forza, senza più uno scopo. Ripenso a Enrico, al suo sogno di fare il cuoco, e a tutti quelli che non sono tornati. Erano ragazzi con vite interrotte, sacrificati su un altare che chiamavano libertà. E io, io sono ancora qui, un superstite inutile. Mi chiedo ogni notte perché proprio io, perché non loro. Forse non c’è una risposta. Forse l’unica verità è che la vita è una roulette russa, e a me è toccata la camera della pallottola vuota.
Eppure, in mezzo a questo buio, a volte mi tornano in mente i loro volti. Non quelli insanguinati, ma quelli di quando ridevano, di quando parlavano di futuro. È per loro che mi alzo ogni giorno, anche se ogni passo è una sfida, anche se ogni respiro mi pesa. Perché finché sono qui, loro non sono davvero morti. La Normandia, quel fango, quel sangue, quei sacrifici: non erano per i Musk, per i Trump, per i saluti fraintesi’ Erano per il diritto di guardare il cielo e sperare. Perché, anche se la speranza è spesso tradita, è tutto ciò che abbiamo.
E allora resto qui, vecchio, stanco, pieno di rimpianti. Ma non smetto di sperare. Non per me, ma per Enrico. Per tutti loro. E mi auguro che, da qualche parte, ci sia ancora qualcuno che capisce che il mondo non si salva con una bandiera piantata su Marte, ma con una mano tesa sulla Terra.
Adesso sono pronto a lasciarvi, con la televisione spenta e troppi ricordi. Forse dovrei accenderla di nuovo, per vedere cosa fa Musk. Magari stavolta si spara nei coglioni per sbaglio. Sarebbe finalmente un gesto utile.