
La società tecnologica cinese Baidu sta sviluppando un sistema di traduzione basato sull’intelligenza artificiale che potrebbe permettere di comprendere meglio il linguaggio degli animali domestici, come i miagolii dei gatti. Secondo quanto riportato da Reuters, l’azienda ha depositato un brevetto che descrive un sistema capace di tradurre i suoni emessi dagli animali, con l’obiettivo di migliorare la comunicazione tra esseri umani e animali. Il progetto è ancora in fase di ricerca e Baidu ha già investito molto nell’intelligenza artificiale. Anche altre realtà, come il progetto californiano Earth Species Project, stanno lavorando su sistemi simili per interpretare i versi di diverse specie animali.

Chi di voi non ha mai guardato il gatto negli occhi chiedendosi: Cosa cazzo vuoi adesso? Ecco, Baidu, il colosso cinese che con la privacy ci fa le grattatine, ha pensato bene di regalare al mondo l’ennesima perla di genialità: il traduttore AI per il linguaggio degli animali. Sì, avete capito, la prossima volta che il vostro cane abbaia, potrete finalmente scoprire che non vi sta annunciando l’arrivo dell’Anticristo, ma solo che si è rotto le palle di croccantini insipidi.
Ironia della sorte, dopo secoli durante i quali l’umanità non è riuscita nemmeno a mettere d’accordo un gruppo di linguisti su cosa minchia volesse dire un dipinto rupestre, ora dovremmo capire la profondità emotiva del vostro persiano stitico grazie a un software. Miao significa fame, miao significa solitudine, miao significa che voglio buttare la tazza dei fiori dal tavolino. Che rivoluzione, eh? Preparatevi: tra un po’ la scusa non capisco il mio animale non reggerà più nemmeno con vostra suocera.
Ovviamente Baidu ci tiene a sottolineare che siamo ancora nella fase ricerca, che tradotto vuol dire: Ci serve un’altra barcata di soldi prima di far vedere che il risultato sarà la solita app del cazzo che interpreta tutto come ‘pappa’ o ‘cacca’. Dopodiché, che gli animali abbiano anche un linguaggio corporeo, un’espressività, una vita interiore complessa, chi se ne frega. Basta un microfono e qualche riga di codice e voilà, adesso sappiamo che il vostro barboncino vi reputa al massimo un distributore automatico di prosciutto cotto.
Per chi se lo chiedesse, non sono solo i cinesi ad aver buttato il cervello nel cesso. Ci sono fior di progetti sparsi in giro che raccolgono miliardi per scoprire se i corvi stanno insultando l’umanità o se i delfini fanno gossip. E poi ci sono quelli che parlano con le balene per imparare a comunicare con gli alieni. Non sto scherzando: c’è gente convinta che scambiare tre versi con un cetaceo sia la chiave per il primo contatto interstellare. Speriamo che ETA abbia il fisico da balena e non da squali, dice una vocina nella testa.
La verità? Siamo sempre la stessa specie che non capisce un cazzo di quello che dice il vicino di posto sull’autobus, ma si illude che un software possa leggere la mente di cani, gatti, pappagalli e tutto lo zoo domestico. E magari pure del pesce rosso. Tanto, con l’AI, ormai tutto è possibile: tradurre, manipolare, inventare, e soprattutto prendere per il culo chi paga per sentirsi più vicino al proprio animale. Ma ricordatevi che lui, almeno, non vi mente mai: quando vi piscia nella scarpa è davvero sincero.
Vi siete mai chiesti quante delle “traduzioni” che promettono questi sistemi non siano altro che una sequenza random di frasi precompilate? È come se vi dessero un oracolo magico che ogni tot spara: “Ho fame”, “Voglio uscire”, “Sei uno stronzo”. Il bello è che spesso ci prende più della vostra ex.
Se volete davvero comunicare meglio col vostro animale, smettete di guardare il cellulare e tirategli una pallina. L’empatia non la scaricate da una app e le parolacce che pensa il vostro cane quando gli mettete il cappottino rosa non ve le tradurrà mai nessun algoritmo. Fatevene una ragione.